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Borse europee incerte, a Milano in rosso Fca

Le Borse europee girano in positivo dopo un avvio di seduta debole. Nel Vecchio continente si guarda con fiducia alla ripresa delle trattative commerciali tra Usa e Cina ed alle vicende politiche del Regno Unito sulla Brexit. Sul fronte valutario l’euro è poco mosso a 1,1256 sul dollaro a Londra.

Su Piazza Affari pesano invece le banche ed il calo di Fca (-1,6%), quest’ultima al centro delle indiscrezioni di stampa sul riassetto tra le aziende del comparto automobilistico. Si allenta la tensione sui titoli di Stato con lo spread tra Btp e Bund che apre stabile a 254 punti con il rendimento del decennale italiano al 2,45%. In fondo al listino Banco Bpm (-1,7%), Unicredit (-1,5%) e Ubi (-1,2%). In rosso anche Mediobanca (-0,8%), Mps (-0,7%), Intesa (-0,6%), Bper (-0,4%). Andamento positivo per Amplifon e Moncler (+1%). In ordine sparso i titoli legati al petrolio con il prezzo del greggio in calo. In positivo Italgas (+0,8%) e Saipem (+0,4%), in rosso Tenaris (-0,2%) mentre è piatta Eni (+0,01%). In positivo Tim (+0,3%), dopo il rinvio del cda ed in attesa dell’assemblea. Corrono le auto sugli altri mercati, giù le banche. Poco mosso euro su dollaro

L’indice d’area Stoxx 600 cresce dello 0,4%. In positivo Londra (+0,8%), Parigi e Francoforte (+0,4%) mentre è piatta Madrid (+0,05%). In rialzo l’hi-tech (+0,8%) con Logitech (+2,1%) ed Hexagon (+1,8%). In crescita in Europa il comparto delle auto (+0,2%), con le notizie sul riassetto tra le aziende del settore, dove si mettono in mostra Daimler (+0,6%), Volkswagen e Porsche (+0,4%) e Peugeot (+0,3%).

A Parigi amplia il calo EssilorLuxottica (-1,8%), dopo la richiesta di arbitrato da parte di Delfin di Leonardo del Vecchio. Giù anche Bayer (-2%), dopo la condanna per Monsanto sul caso del diserbante Roundup. In rosso anche le banche con Banco Bilbao (-1,2%), Commerzbank (-1%) e Credit Agricole (-0,3%).    

Mercati, tempesta in arrivo: gli apolidi della finanza stanno per attaccare il governo italiano

Il tempo volge al peggio, la tempesta è imminente. Vi sono tutte le avvisaglie o, come dicono i meteorologi, i segni che lasciano presagire la bufera in arrivo. Vi era, del resto, da aspettarselo. Almeno se è vero, come è vero, che la democrazia – magni nominis umbra – financo nella sua concezione più superficiale, ossia come libera votazione, è tollerata fintantoché il demos vota e sceglie ciò che in separata sede l’élite turbofinanziaria ha già sovranamente deciso in modo tutto fuorché democratico.

Ordunque, il 4 marzo il popolo italiano ha votato altrimenti. Non ha dato retta ai nervosismi dei Mercati divinizzati, né ai partiti di riferimento del capitale mondialista, né ancora al clero politicamente corretto ed eticamente corrotto degli intellettuali (palanfrenieri cosmopoliti addetti al mantenimento del popolo riplebeizzato in catene nella spelonca di platonica memoria). Il popolo ha scelto un governo che, al netto dei suoi limiti e delle sue imperfezioni, è il governo del basso contro l’alto, del popolo precarizzato contro l’aristocrazia global-elitaria. Ed è ciò che i signori del mondialismo e i loro chierici al guinzaglio non perdonano al popolo italiano.

I signori del mondialismo deregolamentante senza coscienza infelice e i cinici araldi della glebalizzazione hanno de facto dichiarato guerra al governo italiano. Senza se e senza ma. La sua inespiabile colpa? Elementare: essere un governo non al servigio dell’élite finanziaria, essere un governo scelto dal popolo, essere un governo che sta mettendo in discussione i capisaldi della mondializzazione capitalistica (deregolamentazione dei mercati, desovranizzazione dell’economia, atlantismo supino, ecc.).

I globalizzatori faranno di tutto per far cadere il governo nazionale-popolare odiato dall’aristocrazia finanziaria. Senza esagerazioni, mi avventuro in una previsione. Per rovesciare il governo nazionale-popolare italiano, i poliorceti del turboglobalismo liquido-finanziario percorreranno la via o del colpo di Stato giudiziario (modalità Mani Pulite 1992) o del colpo di Stato finanziario (modalità Monti 2011). L’obiettivo? Rovesciare il governo e imporne uno che rispecchi senza esitazioni gli interessi e i desiderata della classe dominante liquido-finanziaria. Come disseuna voce non marginale del partito unico dei mondialisti, i Mercati spingeranno gli italiani a non votare i populisti. È chiarissimo il punto. Come, d’altro canto, è chiarissima la fisionomia glamour del nuovo totalitarismo dei Mercati deregolamentati.

Borsa, Milano è la peggiore d’Europa 

Borsa, Milano è la peggiore d'Europa

La Borsa di Milano torna nell’occhio del ciclone dopo due sedute di relativa calma. Il Ftse Mib chiude gli scambi in calo dell’1,89% a 21.335 punti, i minimi da luglio 2017, ed è l’indice peggiore dell’Eurozona.

Lo spread tra Btp e Bund tedeschi in salita costante e, oggi, in area 270 punti, è di nuovo il termometro dell’avversione al ‘rischio Italia’ dei mercati internazionali: il differenziale chiude a 269 punti con un rendimento al 3,14%.

Sul resto delle Borse europee prevale la cautela anche per l’incertezza sull’esito dei negoziati al G7. Dazi e barriere commerciali sono al centro della bagarre dopo i tweet del presidente Usa, Donald Trump, rivolti al primo ministro canadese Justin Trudeau e al presidente francese Emmanuel Macron. In questo scenario, Londra chiude negativa (-0,3%), e così Francoforte (-0,35%) e Madrid (-0,8%). Piatta Parigi (+0,03%). La Borsa di Wall Street è poco mossa: il Dow Jones lascia sul terreno lo 0,01% mentre il Nasdaq cede lo 0,15%.

Maglia nera della seduta è Banco Bpm, che cede il 4% a 2,3 euro. I bancari non brillano: Bper cede il 2,7%, Ubi banca il 2,75% e Unicredit il 2,5%. Tra i titoli più venduti anche Cnh (-3,6%), Unipol (-3,4%), Azimut (-3,2%) e A2a (-3%). I titoli positivi del Ftse Mib sono solo Yoox Nap (+0,16%) e Salvatore Ferragamo (+0,37%).

Borse: in attesa del governo lo spread cala, intorno a quota 260, e l’indice Mib risale

MILANO- Riparte Piazza Affari dopo che il presidente del consiglio incaricato Carlo Cottarelli ha indicato che sono emerse nuove possibilità per la nascita di un Governo politico. L’indice Ftse Mib, scivolato fin sotto la parità dopo le parole del leader della Lega Matteo Salvini che ha escluso di essere al mercato, segna un rialzo dello 0,9% a 21.541 punti. Ritorna a guadagnare oltre il 4% Mediobanca, Poste sale del 2,79%, Intesa dell’1%e Unicredit dello 0,6%. Sui massimi i rendimenti dei Btp dopo l’asta dei titoli a 5 e 10 anni, il cui rendimento è salito al 3% per questi ultimi, con il livello più alto dal maggio del 2014. In rialzo anche il rendimento quinquennale (2,32%), mentre lo spread Btp/Bund oscilla intorno a quota 260 punti base.

Borsa e spread in recupero, ma l’asta Btp costa cara

Piazza Affari prende la via del rialzo dopo l’annuncio dell’esito dell’asta dei bond italiani. Indice FtseMib +1,8% alle 13, indice sopra 21.500 punti.

In terreno positivo Francoforte +0,35% confortato dal lieve miglioramento del clima di fiducia delle imprese nell’Eurozona (il Bci, Business Climate Indicator). In calo invece l’indice del sentimento economico in Italia, Francia e Spagna. Rimbalza Madrid +0,4% dopo il forte calo di ieri. Deboli invece Parigi -0,2% e Londra.

L’incertezza politica rischia di avere un impatto sull’espansione economica dell’Italia. Ne è convinta l’Ocse che ha rivisto al ribasso le previsioni di pil del Paese. Quest’anno, in base ai dati contenuti nell’Economic Outlook, la crescita dovrebbe rallentare all’1,4%, dall’1,5% precedente, e nel 2019 all’1,1%, dall’1,3%.

L’andamento dello spread e l’esito tribolata dell’asta Btp hanno dato una misura eloquente della preoccupazione sollevata dal caso Italia. Non mancano le note positive, a partire dal calo dello spread rispetto al Bund tedesco sceso sotto i 260 punti dai massimi toccati ieri. Inoltre l’asta odierna del Tesoro si è chiusa a 5,57 miliardi di euro di obbligazioni vendute, nella parte alta del range indicato, 3,75 miliardi-6 miliardi.

Ma altri numeri confermano l’allarme. Si riduce la forbice (a nostro vantaggio) dei Btp sui titoli greci a soli 150 punti, il minimo dal 2009.

Intanto in asta hanno preso il volo i rendimenti. Il Btp decennale ha raggiunto in asta la vetta del 3%, al massimo dal giugno 2014 con un rialzo di 130 punti. A questo prezzo, assolutamente impensabile solo una settimana fa, il Tesoro ha soddisfatto richieste per 1,82 miliardi di euro (inferiore all’importo massimo di 2,25 miliardi). Il Tesoro ha anche emesso Btp a 5 anni per 1,75 miliardi a fronte di una richiesta pari a 2,68 miliardi. Il rendimento è salito di 175 centesimi attestandosi al 2,32%, ai massimi da gennaio 2014. Infine sono stati collocati 2 miliardi di CcTeu scadenza (domanda totale per 2,876 miliardi) ad un rendimento lordo del 2% (+177 centesimi sull’asta precedente).

Sul mercato valutario l’euro/dollaro recupera dai minimi da luglio 2017 col rialzo più evidente da tre settimane e torna su 1,16 dollari a 1,1618 (da 1,155 ieri sera).

L’incertezza politica continua a tenere gli indici di Piazza Affari sulle montagne russe. Dopo un avvio in ripresa la Borsa ha fatto una breve incursione in territorio negativo per poi riprendersi e tornare verso fine mattinata a puntare verso l’alto nell’attesa di un esecutivo politico.

L’indice dei bancari avanza del 2,7%, attorno ai massimi della mattinata, con Mediobanca in rialzo del 4,7% ma Bper appena positiva. Gli istituti italiani fanno meglio di quelli europei (- 0,5%).

Rimbalza di oltre il 5% UnipolSai in vista di un possibile accorciamento della catena con Unipol +2,55%. Sale Poste Italiane +2%2%. L’ad Matteo Del Fante ha dichiarato che l’ampliamento dello spread tra Btp e Bund decennali “può costituire un’opportunità per la liquidità” del gruppo.

Tra i titoli migliori alcune utility come Italgas e Terna entrambe +3,5%.

In terreno positivo anche Fiat Chrysler e Telecom Italia.

In coda al listino Prysmian -0,8% e Tenaris -0,6%. Indietro anche Saipem, dopo il netto progresso di ieri, nonostante il giudizio di Hsbc che ha avviato la copertura sul titolo con giudizio buy e target price a 4,25 eur

Zegna torna a crescere e pianifica nuove aperture

MILANO – Ermenegildo Zegna torna a crescere su tutta la linea, segno che la nuova strategia del gruppo guidato da Gildo Zegna e la nuova creatività affidata a Alessandro Sartori, inizia a dare i propri frutti. Nel 2017 il fatturato del gruppo è cresciuto a 1,18 miliardi, marcando un aumento del 2,3% ( ma più 4,5%) con utili in crescita del 64% a 32,8 milioni.  A fronte di un margine lordo pari a 142 milioni (pari al 12% delle vendite) la posizione finanzia netta è migliorata ancora lievitando di 83 milioni a quota 316 milioni.

La Cina si conferma il mercato di sbocco più importante del gruppo del lusso controllato dall’omonima famiglia, ma oltre Hong Kong e Macao, tornano a dare importanti segnali di crescita anche la Russia, Singapore e il Giappone (che è tornano a crescere dall’estate scorsa). L’incremento si è poi esteso a varie categorie di prodotto, dall’alto di gamma fatto su misura, ai tessuti, le scarpe per finire con la nuova linea di capi Techmerino. “I positivi risultati 2017 sono il frutto di più fattori – spiega l’ad Gildo Zegna – che hanno ben interagito grazie alla brand strategia inaugurata con l’arrivo di Alessandro Sartori come direttore artistico”. A fine 2017 il gruppo aveva 504 monomarca nel mondo di cui 272 a gestione diretta e 232 di terzi. Ma quest’anno, la società nata a Biella conta di portare avanti nuove aperture tra cui Capri, Singapore, Pechino, Tokio e Città del Messico, ma anche rinnovi e ampliamenti della rete esistente tra cui Vancouver e Hong Kong. “Grazie all’ominicanalità – precisa Zegna – abbiamo non solo conseguito buoni risultati nelle vendite online, ma soprattutto abbiamo ancor meglio sviluppato la nostra capacità di offrire servizi sempre personalizzati e tempestivi nei negozi”.

E così il lavoro fatto di riposizionamento e ristrutturazione degli anni passati, dovrebbe continuare a dare i frutti anche nel futuro. “Dai primi mesi del 2018 oltre il buon andamento del sell in (vendite) della collezione autunno inverno 2018-2019, arrivano conferme positive dai Paesi che hanno consentito di invertire il trend nel 2017 e anche dagli Stati Uniti, mentre sui mercato europei la ripresa risulta più incerta”.