In occasione della Giornata nazionale di prevenzione dello spreco alimentare del 5 febbraio, Too Good To Go, la società che dal 2019 con l’omonima app si batte contro lo spreco alimentare in Italia, ha raccolto e comunicato 5 dati cruciali sul tema:
Lo spreco alimentare è in aumento nel mondo: oggi il 40% del cibo prodotto viene sprecato rispetto al 30% di 2 anni fa. Circa 12 miliardi di animali vengono macellati ogni anno senza essere consumati.
Lo spreco alimentare rappresenta il 10% delle emissioni di CO2. Se fosse un paese, sarebbe il terzo paese per emissioni dopo Cina e Stati Uniti.
L’Unione europea getta più cibo di quanto ne importi (153,5 milioni di tonnellate buttate contro le 138 importate).
Il 53% dello spreco alimentare in Europa è imputabile al consumatore: ogni persona, attraverso le proprie azioni e abitudini, può davvero fare la differenza.
In Italia sono 67 i kg di cibo pro capite sprecati in un anno a livello domestico, 4 kg pro capite.
Cosa si può concretamente fare per evitare lo spreco alimentare a livello domestico? I 5 consigli di Too Good To Go:
Impara a leggere bene le etichette: conoscere la differenza tra data di scadenza e Termine Minimo di Conservazione può evitare lo spreco di alimenti con TMC (la dicitura “da consumarsi preferibilmente entro”), che spesso vengono gettati anche se ancora buoni.
Pianifica la spesa con creatività: scrivere e pianificare in anticipo la spesa, senza eccedere negli acquisti, può aiutare a ridurre drasticamente lo spreco alimentare a livello domestico.
Conserva gli alimenti nel modo giusto: conoscere quali sono le migliori modalità di conservazione del cibo in dispensa, in frigorifero o in freezer può contribuire ad allungare la vita dei prodotti.
Riutilizza e ricicla: riutilizzare con creatività gli avanzi in cucina è importante e può aiutare a trovare la giusta destinazione a tutti i tipi di alimenti.
Utilizza la tecnologia a tua disposizione: Too Good To Go in meno di 4 anni ha contribuito a salvare in Italia più di 11 milioni di pasti, coinvolgendo 7 milioni di persone che hanno scaricato l’app e permettendo a 25.000 esercenti commerciali di impegnarsi in prima persona contro gli sprechi. Che cosa significa salvare 11 milioni di Magic Box? Evitare le emissioni di più di 3000 cittadini italiani per un anno, ma anche quelle derivanti da più di 150 anni di docce calde.
Sull’ultimo numero della rivista mensile di Legambiente La nuova ecologia, intitolato “La guerra è tossica” vengono denunciati i danni all’ambiente, oltre che alla vita umana, provocati da un anno di conflitto in Ucraina. Mentre l’incubo nucleare potrebbe riaffacciarsi all’orizzonte, con la centrale di Zaporizhzhia a rischio incidente, in Ucraina, che ospita il 35% della biodiversità europea, il conto ambientale dell’invasione russa ammonta già a 39 miliardi di euro. Il numero di questo mese, scrive Legambiente, prova a stimare anche l’impatto sul clima di tutti gli eserciti del mondo che, se rappresentassero un Paese, equivarrebbero alla quarta nazione più inquinante del Pianeta: ma le cifre attuali sono stime per difetto, approfondisce La nuova ecologia, dato che gran parte degli Stati non comunica le emissioni del settore Difesa e che in molti di essi si assiste a un aumento delle spese militari. Un impegno economico in contrasto con gli obiettivi climatici e con la necessità di investire nella protezione della natura, come puntualizza l’editoriale del direttore Francesco Loiacono. Per la sezione Protagonisti, La nuova ecologia intervista Francesco Guccini: “Non ci può essere nostalgia di un mondo più povero, di una vita più dura”, sostiene il cantautore che racconta il suo rapporto con gli Appennini e con i luoghi che tanto hanno ispirato la sua poetica. Con uno sguardo al futuro del cicloturismo e alle sue potenzialità rigenerative per il territorio, dopo il sostegno dato alla Ciclovia dell’Appennino, percorso che vede la collaborazione di Legambiente e ViviAppennino e che attraversa la dorsale del Paese, dalla Liguria alla Sicilia. “La biodiversità merita un 30, anzi quattro” è il titolo dell’inchiesta che illustra i pilastri dell’accordo firmato alla COP15 di Montreal in cui 196 Paesi riuniti hanno fissato gli impegni per tutelare il 30% delle aree marine, terrestri e fluviali entro il 2030. Un obiettivo raggiungibile destinando almeno 200 miliardi di dollari alla biodiversità e sottraendone 500 alle attività che danneggiano la natura, spiegano i servizi de La nuova ecologia. Alcune delle aree prioritarie d’intervento dovranno riguardare acque dolci e coste, gli ambienti più a rischio nel nostro Paese.
La Commissione europea ha da poco inviato agli Stati membri una bozza di proposta per trasformare il quadro temporaneo di crisi per gli aiuti di Stato in un quadro temporaneo di “crisi e transizione” per facilitare e accelerare la transizione verde dell’Europa. Si tratta di una proposta che rientra nel piano industriale del Green Deal, presentato mercoledì scorso e contribuisce al suo secondo pilastro volto a garantire un accesso più rapido ai finanziamenti per le imprese che operano nell’UE. Obiettivo primario della proposta per un quadro temporaneo di crisi e transizione è stimolare gli investimenti per una più rapida diffusione delle energie rinnovabili, nonché a sostenere la decarbonizzazione del settore e la produzione di attrezzature necessarie per la transizione all’azzeramento delle emissioni nette, preservando contestualmente l’integrità e la parità di condizioni nel mercato unico. La Commissione sta consultando gli Stati membri per discutere eventuali modifiche volte a facilitare ulteriormente la diffusione delle energie rinnovabili e la decarbonizzazione del settore; sostenere gli investimenti nella produzione di attrezzature strategiche necessarie per la transizione net-zero,al fine di accelerare la transizione verso un’economia net-zero e superare l’attuale crisi energetica. In particolare, la Commissione propone di affrontare il deficit di investimenti produttivi nei settori strategici per la transizione verde. Ciò avviene nel contesto delle sfide globali che minacciano di dirottare nuovi investimenti in questi settori a favore di paesi terzi al di fuori dell’Europa. Più in dettaglio, la Commissione propone di consentire il sostegno degli Stati membri alla produzione di batterie, pannelli solari, turbine eoliche, pompe di calore, elettrolizzatori e utilizzo e stoccaggio della cattura del carbonio, nonché delle relative materie prime essenziali necessarie per la produzione di tali apparecchiature. “Il fondo per la sovranità è incentrato su un’idea: abbiamo bisogno di progetti europei comuni che si basino su tecnologie all’avanguardia e vogliamo garantire che queste siano disponibili in tutta l’Ue”, ha detto Ursula von der Leyen presentando il piano industriale europeo. “Per questo progetto comune è necessario uno strumento di finanziamento comune europeo. Riesamineremo il bilancio pluriennale ma con gli Stati membri dovremo valutare altre possibilità di finanziamento. I principi sono chiari, poi parleremo a discutere delle tecniche di finanziamento” Queste nuove disposizioni sarebbero in vigore fino al 31 dicembre 2025. Gli Stati membri hanno ora la possibilità di commentare il progetto di proposta della Commissione, la quale intende adottare il quadro temporaneo di crisi e transizione nelle prossime settimane. “La competitività in Europa non può essere costruita sugli aiuti di Stato – ha dichiarato Margrethe Vestager, vicepresidente esecutiva responsabile della politica della concorrenza -. Ma potrebbe essere necessario un sostegno per raggiungere il nostro obiettivo di eliminare i combustibili fossili il più rapidamente possibile. La decarbonizzazione dell’industria dell’UE potrebbe, temporaneamente, richiedere un ulteriore impulso e incentivi per stimolare e mantenere gli investimenti nei settori strategici delle tecnologie pulite in Europa. Ora chiederemo il parere degli Stati membri prima di decidere la strada da seguire. E con la necessità di preservare la coesione e la concorrenza per salvaguardare condizioni di parità nel mercato unico”.
Si chiama BioHome3D, è grande 55mq ed è laprima casa in legno completamente stampata in 3D, realizzata con materiali a base biologica. Frutto del lavoro di un gruppo di ricercatori dell’Università del Maine e di ASCC (Advanced Structures and Composites Center), la casa è stata completamente stampata dalla più grande stampante 3D polimerica esistente, dal tetto ai pavimenti. Ma ciò che rende unica quest’abitazione è l’inchiostro utilizzato per realizzarla: non calcestruzzo, il più frequentemente adottato per questo genere di costruzioni, ma un mix di fibre di legno, bio resine e cellulosa soffiata, che rendono l’alloggio al 100% riciclabile.
Si tratta di una soluzione innovativa che potrebbe risolvere due criticità molto comuni negli Stati Uniti e in particolare nel Maine: la carenza di alloggi a prezzo accessibile e la scarsità di manodopera, oltre che l’aumento dei prezzi dei materiali. La casa è interamente realizzata con materiale riciclato, ottenuto dai residui di legno rimasti nelle segherie, che vengono recuperati e macinati in particelle di dimensioni microscopiche, per essere poi miscelati con bio resine ottenute da prodotti vegetali. Inoltre, la stampa è realizzata con materie in fibra di legno di provenienza locale. In questo modo si riesce a ridurre la dipendenza da una catena di approvvigionamento limitata.
Alla cerimonia di inaugurazione dell’abitazione ha partecipato anche la senatrice americana Susan Collins, senatrice repubblicana per lo Stato del Maine. “Con la produzione odierna della prima casa al mondo stampata in 3D realizzata con prodotti forestali riciclati, l’Università del Maine continua a dimostrare la sua leadership globale nell’innovazione e nella ricerca scientifica”, ha affermato la senatrice Collins. “Questo straordinario risultato è stato reso possibile dalla tenacia e dall’esperienza del Dr. Habib Dagher, del suo team e degli studenti dell’UMaine Advanced Structures and Composites Center. Li lodo per aver aperto la strada a questa nuova opportunità di mercato per l’industria dei prodotti forestali del Maine, che potrebbe aiutare ad alleviare la carenza di alloggi nella nostra nazione. Il loro lavoro pionieristico getterà le basi per il futuro degli alloggi a prezzi accessibili e contribuirà a creare nuovi posti di lavoro in tutto il nostro stato”. La National Low Income Housing Coalition riferisce che a livello nazionale sono necessari oltre 7 milioni di alloggi a prezzi accessibili. Nel solo Maine, il deficit è di 20.000 unità abitative e cresce ogni anno, secondo la Maine Affordable Housing Coalition.
A cinque anni dall’entrata in vigore della legge sul testamento biologico, solo lo 0,4% dei maggiorenni sembra aver compilato il proprio. La segnalazione arriva dall’associazione Luca Coscioni, la no profit da sempre impegnata nella battaglia per i diritti civili e per la liberà di scelta sul fine vita. Il testamento biologico o DAT (Disposizioni Anticipate di Trattamento) è il documento legale con cui ognuno ha la possibilità di indicare in anticipo quali trattamenti sanitari intraprendere, nel caso di una futura impossibilità di comunicare direttamente le proprie volontà a causa di malattia o incapacità. Secondo l’associazione Luca Coscioni, il motivo per cui quasi nessuno in Italia ha compilato il testamento biologico è da ricondurre a una mancata campagna di informazione da parte dello Stato. Per questo, in occasione dei 5 anni della legge 219 del 22 dicembre 2017 “Norme in materia di consenso informato e di disposizioni anticipate di trattamento”, in vigore dal 31 gennaio 2018, l’associazione Luca Coscioni ha pubblicato i risultati dell’indagine condotta da Matteo Mainardi e Alessandro De Luca, in collaborazione con le Cellule Coscioni di tutta Italia, per richiedere a 6500 comuni quante DAT (Disposizioni Anticipate di Trattamento) sono state ricevute dall’entrata in vigore della legge (il 31 gennaio 2018) a oggi e quante di queste sono state trasferite alla Banca dati nazionale. E proprio a 5 anni dalla entrata in vigore delle legge 219 del 2017, l’Associazione ha lanciato una campagna informativa, pubblicando un video narrato da Giobbe Covatta e intitolato titolo “Il biotestamento spiegato agli adulti”, un contenuto animato realizzato da Simona Angioni e Giovanni di Modica con la direzione creativa di Avy Candeli, per illustrare l’importanza del testamento biologico e offrire tutte le informazioni per poterlo fare subito. “Ci sostituiamo ancora una volta allo Stato, coi mezzi a nostra disposizione, nel realizzare una campagna di informazione su uno strumento di libertà fondamentale, ma finora tenuto nascosto dal ministero della Salute e dai governi”, hanno dichiarato Filomena Gallo e Marco Cappato, segretaria e tesoriere dell’Associazione.
Le emissioni di carbonio prodotte dai segmenti della popolazione più benestante generano una disuguaglianza nelle emissioni di carbonio all’interno di un singolo Paese che tende a essere maggiore rispetto alle differenze tra l’impronta di CO2 di due Paesi diversi. È quanto si apprende dal Climate Inequality Report 2023 pubblicato dal World Inequality Lab, il laboratorio co-diretto dall’economista Thomas Piketty che studia e analizza i driver della disuguaglianza sociale nel mondo. Moltissimi studi e politiche climatiche globali si concentrano sulle disuguaglianze tra Paesi sviluppati e in via di sviluppo e sulla loro responsabilità storica per le emissioni di gas serra. Eppure un numero crescente di rapporti come questo del World Inequality Lab suggerisce che sia un “élite inquinante” a generare gran parte delle disparità in termini di emissioni. Infatti, “il 10% di popolazione più ricco al mondo è responsabile di quasi la metà delle emissioni globali di carbonio e le emissioni totali di carbonio da parte dell’ 1% più ricco superano ampiamente le emissioni dell’intera metà inferiore della popolazione mondiale”, si legge nel report. Ciò significa che “le scelte di consumo e di investimento di una frazione della popolazione stanno causando un danno ecologico significativamente maggiore rispetto all’intera metà inferiore della popolazione mondiale messa insieme”.
“I modelli di consumo e investimento di un gruppo relativamente piccolo della popolazione contribuiscono direttamente o indirettamente in modo sproporzionato ai gas serra”, continua il rapporto. “Sebbene le disuguaglianze nelle emissioni tra i Paesi rimangano considerevoli, la disuguaglianza complessiva nelle emissioni globali è ora spiegata principalmente dalle disuguaglianze all’interno dei Paesi, secondo alcuni indicatori”. Gli autori spiegano che per quanto gli aiuti economici per il clima provenienti dall’estero, uno dei temi più dibattuti all’ultima COP a Sharm el-Sheikh, siano assolutamente necessari per aiutare i Paesi in via di sviluppo a ridurre le loro emissioni, è altrettanto necessario che questi Paesi modifichino i loro sistemi fiscali a livello nazionale, così da distribuire la ricchezza in modo più equo. Una delle soluzioni, continuano gli autori, potrebbe essere quella introdurre delle tasse straordinarie sui profitti più alti e indirizzarle su investimenti a basse emissioni di carbonio.
Dagli scarti delle arance, passando prima dalla filatura e poi dalla tessitura, per arrivare alle passerelle di alta moda. Si chiama Orange Fiber l’azienda che trasforma il pastazzo di agrumi – il residuo composto di bucce, semi e parte della polpa – in abiti preziosi e attenti alla sostenibilità, all’insegna di un processo virtuoso di economia circolare made in Italy. É il 2011 quando, due studentesse fuori sede originarie di Catania, che condividono l’affitto di un appartamento a Milano, immaginano per la prima volta quella che presto diventerà la loro azienda: sono Adriana Santanocito, che frequenta l’istituto Afol Moda ed Enrica Arena, laureanda in Cooperazione Internazionale all’Università Cattolica.
Enrica Arena, CEO & Co-Founder Orange Fiber
L’idea vera e propria viene da Adriana, specializzanda in Fashion Product Manager, che sta scrivendo una tesi dal titolo “Nuovi scenari e tecnologie sostenibili per prodotti tessili. Orange Fiber”, in cui sviluppa un modo per ricavare cellulosa dal pastazzo degli agrumi, rifiuto alla cui gestione è addirittura dedicata una parte dell’articolo 41 del Decreto del Fare 2013 (D.L. 69/2013): “Disciplina dell’utilizzo del pastazzo”. Adriana chiede ad Enrica di curare la strategia di comunicazione e nel 2013, con la collaborazione del laboratorio di Chimica dei Materiali Politecnico di Milano, viene brevettato l’innovativo processo che permette di recuperare, potenzialmente, le oltre 700.000 tonnellate di sottoprodotto che l’industria di trasformazione agrumicola produce ogni anno in Italia, e il cui costo di smaltimento equivale a circa 30 euro a tonnellata.
Così, nel 2014 viene costituita Orange Fiber, la prima azienda al mondo a produrre tessuti sostenibili dagli scarti delle arance. Nel giro di qualche tempo arrivano le partnership con i grandi nomi della moda: l’esclusiva capsule collection firmata Marella, composta da cravatte, pochette da taschino e foulard sostenibili; la Ferragamo Orange Fiber Collection, presentata nel 2017 in occasione della Giornata della Terra; la linea Conscious Exclusive di H&M, il cui capo realizzato con tessuto Orange Fiber è sold out in poche ore. Della storia e dell’evoluzione dell’azienda, abbiamo parlato con Enrica, oggi CEO di Orange Fiber. Cominciamo da te. Qual è stato il tuo percorso di formazione professionale? «Ho iniziato con un percorso improntato alla cooperazione internazionale, intesa come no profit nel senso più tradizionale. Dopo il master in Cattolica, sono andata in Egitto per un periodo di traineeship. Lì, tra gli eventi che organizzavo con le Nazioni Unite, ce n’era uno sul global compact, sul rapporto, cioè, tra imprese private e obiettivi di interesse pubblico. In particolare, c’era un focus sulla responsabilità sociale d’impresa e su come le aziende possono contribuire a includere, non solo nella loro offerta di prodotti, ma anche nel modo in cui fanno business, categorie che normalmente sarebbero escluse, e avere così un impatto positivo. Incuriosita, ho iniziato ad approfondire questo mondo e, nel frattempo, sono tornata in Italia, a Milano, dove mi sono ritrovata a dividere la casa con la mia coinquilina Adriana, l’ideatrice di Orange Fiber. In quel periodo lei studiava moda all’Afol e mi chiese se potevo darle una mano a comunicare l’idea che aveva avuto e che voleva portare avanti. Così ha avuto inizio il mio coinvolgimento a supporto dell’iniziativa, per diventarne in seguito l’amministratore unico, dal 2019 in poi». Avrei giurato che dietro Orange Fiber si celasse un chimico o qualcuno specializzato in materie affini… «Nel corso di moda i materiali hanno un ruolo importante e, di conseguenza, anche il percorso di produzione delle fibre che c’è dietro. Facendo ricerche sulle fibre che hanno un’origine innovativa rispetto a quelle tradizionali (come il cotone o il poliestere), Adriana ha approfondito il tema delle fibre che vengono dalla cellulosa, arrivando a ipotizzare che si potesse ottenere cellulosa anche a partire dalle arance, per ricavarne poi un tessuto. Le arance raccontano la nostra storia, perché siamo entrambe siciliane. E il nostro intento era proprio quello di rivelare una storia diversa del Mediterraneo, che mettesse al centro l’innovazione, a partire prodotto che viene riconosciuto come simbolo della Sicilia». Qual è stato il vostro trampolino di lancio? La partnership con Ferragamo? «In una prima fase il ruolo più importante lo hanno avuto i percorsi di incubazione d’impresa che abbiamo frequentato, tra il 2012 e il 2014, ci hanno aiutate a fare il salto dall’avere un’idea a trasformarla in piano di business concreto, per subentrare poi nell’ottica di diventare imprenditrici. All’inizio, frequentare l’ecosistema, che all’epoca era ancora giovanissimo e molto più concentrato sul digitale che non sull’innovazione dei materiali e dei prodotti, è stato un un passaggio fondamentale. Nel 2014, poi, siamo riuscite ad ottenere la prima finanza pubblica sia da Trentino Sviluppo che da Smart&Start, attirando anche i nostri primi investitori privati. Lo step successivo, qualche mese dopo, è stato quello di presentare il primo campione di tessuto ad Expo 2015, dove c’era un contesto molto favorevole di discussione intorno ai temi del riuso delle risorse, sia a livello nazionale che internazionale. Contemporaneamente, è nato anche il primo contatto con Ferragamo. Poi, nel 2016, abbiamo partecipato a un premio della fondazione H&M e, piano piano, nel corso del tempo abbiamo raffinato sempre di più l’interesse e la partecipazione solo a quelle iniziative che sono veramente vicine allo spirito di Orange Fiber». A proposito di H&M, in cosa è consistita la vostra collaborazione? «I nostri prodotti sono stati inseriti nel 2019 nella collezione H&M Conscious Exclusive, che viene lanciata una volta all’anno, in parallelo alla collezione Conscious che, invece, è sempre presente e contiene materiali disponibili sul mercato, come cotone organico, poliestere, eccetera. Mentre nella Conscious Exclusive, H&M presenta dei materiali non ancora commercialmente pronti, facendo da portavoce. Li inserisce nella collezione e osserva come reagisce il mercato».
Come appaiono i tessuti Orange Fiber? «La nostra fibra si comporta come una fibra Tencel tradizionale (il tencel è un tipo di tessuto ecologico prodotto a partire da alberi di eucalipto, NdR)». Quali sono stati i primi prototipi? É stato difficile realizzarli? «Si, è stato difficile. In primo luogo perché abbiamo a che fare con partner di filiera di taglia industriale. Questi impianti girano infatti su quantità di centinaia di tonnellate, laddove noi, invece, ne produciamo una al mese. Abbiamo dovuto, da una parte, individuare delle aziende che avessero un macchinario al loro interno per cominciare a fare i prototipi e che avessero anche voglia e interesse a farlo con noi. Comunque alla fine ce l’abbiamo fatta e abbiamo portato a termine il primo prototipo: il filo è stato realizzato in Spagna, mentre il tessuto nel comasco, con un partner con cui ancora lavoriamo». Com’è stato vedere sul mercato un prodotto che prima avevate solo immaginato? «Uno dei momenti più emozionanti è stato quando abbiamo visto il primo tessuto con la stampa Ferragamo. Ci siamo rese conto che, non solo eravamo riuscite a creare il materiale, ma che tutto stava andando nella direzione giusta». Riuscite a posizionarvi in modo competitivo rispetto ad altri prodotti, quelli made in China per esempio? «Indipendentemente dalla provenienza dei prodotti, il tema per noi è la capacità produttiva. Con questo intendo che, producendo una tonnellata di fibra al mese, i costi da sostenere sono molto alti rispetto a qualsiasi altro prodotto. In un contesto di grandissima incertezza a livello internazionale, siamo convinti che avere una filiera interamente europea, al 90% italiana, per quanto cara, sia comunque una scelta vincente, non solo dal punto di vista della sostenibilità e della trasparenza, ma anche per poter rassicurare i nostri clienti rispetto alla capacità di rispettare i tempi. In questo momento tutta la nostra filiera risponde alla normativa europea, poiché produciamo il 90% in Italia e un piccolo pezzo in Austria. In questo modo anche la logistica è ridotta al minimo».
E i laboratori Orange Fiber dove si trovano? «Attualmente i nostri impianti si trovano solo in Sicilia, a Piano Tavola, che è nella zona industriale di Catania, vicino Misterbianco». Le arance devono essere necessariamente siciliane? «É preferibile. Innanzitutto, perché nasciamo proprio con l’idea di risolvere il problema dello smaltimento di questi scarti e poi, ovviamente, per una questione di costi legati alla logistica: più vicino è, meglio è per noi». E gli scarti delle arance dove li recuperate? «Lavoriamo con aziende che realizzano spremute, e che si trovano, per la maggior parte, in Sicilia». Quindi, quando fai una spremuta in casa non conservi gli avanzi? «No – sorride – me ne guardo bene!».
I boschi sono considerati, a ragione, l’infrastruttura verde fondamentale per contrastare la crisi climatica, ma allo stesso tempo sono messi sotto stress da alte temperature, siccità, incendi ed eventi estremi, come ha dimostrato la tempesta Vaia nel 2018. Senza contare poi problemi, a livello globale, come deforestazione e taglio illegale. FSC – Forest Stewardship Council®, la ong internazionale che da trent’anni è sinonimo di gestione forestale responsabile, ritiene però che l’anno che si è appena concluso abbia portato ad alcuni importanti passi avanti nella tutela del patrimonio verde italiano. Eccoli, raggruppati in quattro punti.
Aumentano in Italia le aree certificate FSC A dicembre 2022 erano 81.590,21 in Italia gli ettari certificati secondo lo standard di gestione forestale FSC, con una crescita dell’8% in un anno. Certo, si tratta di numeri ancora piccoli rispetto agli 11 milioni di ettari di boschi presenti in Italia (dati Inventario Nazionale delle Foreste), ma promettente, se si pensa che l’aumento è del 23% negli ultimi tre anni. Oggi nel nostro Paese sono 26 realtà certificate, diverse per tipologia e localizzazione. Val la pena di ricordare, fra queste, il trend positivo delle sugherete in Sardegna, con la seconda certificazione per una superficie di 75 ettari gestita da Agris Sardegna e le ultime certificazioni in ordine di tempo: il parco naturale Oasi Zegna (1.700 ettari nel Biellese); il Comune di Torino (429 ettari) e l’Ente Parco Nazionale dell’Appennino Tosco-Emiliano, che con i suoi 10.315 ettari è il primo parco nazionale a ottenere la certificazione FSC.
Una sempre maggiore attenzione verso i servizi ecosistemici offerti dai boschi Il 2022 ha fatto registrare una sempre maggiore attenzione, in Italia e nel mondo, per i servizi naturali offerti da boschi e foreste (conservazione della biodiversità, stock del carbonio, regolazione del ciclo dell’acqua, preservazione del suolo e servizi turistico-ricreativi), che possono essere valutati e quantificati secondo una procedura specifica messa a punto da FSC. Oggi in Italia, che nel 2018 è stato il primo paese al mondo ad avviare questa verifica, sono già 13 le realtà coinvolte. Nell’ultimo anno si sono aggiunte Agris Sardegna, Oasi Zegna, Comune di Torino e Ente Parco Nazionale dell’Appennino Tosco-Emiliano. Nel mondo sono complessivamente 49 i gestori forestali certificati FSC che hanno ottenuto questo tipo di verifica.
Filiere sempre più responsabili Anche nel 2022 sono aumentati i prodotti da materie prime forestali col “bollino” FSC. Il numero di certificati di filiera, infatti, è cresciuto in Italia del 3,7%: attualmente sono 3.298 e comprendono oltre 4.200 siti produttivi. Tre anni fa, a fine 2019, erano 2.558 i certificati attivi, per un totale di 3.100 siti produttivi interessati: l’aumento è quindi di ben 740 certificati della catena di custodia. “Abbiamo assistito ad una incredibile crescita di interesse attorno alla certificazione FSC – afferma Diego Florian, Direttore di FSC Italia – anche durante questi anni di crisi ambientale e sociale, segnati dalla pandemia e dalla scarsità di materia prima. FSC ha rappresentato uno strumento su cui le aziende hanno continuato ad investire e che i consumatori hanno premiato. La certificazione si conferma quindi come strumento concreto per dare un futuro alle foreste e ai mercati”. I settori con incrementi più rilevanti nel 2022 si riconfermano l’arredamento per interni ed esterni (637 certificazioni, +11,7% sul 2021), il tessile (143 certificazioni, +10%) e il packaging (1.270 certificazioni, +5%). Per quel che riguarda l’arredamento, il 2022 ha visto l’emissione di 67 nuovi certificati, tra cui spiccano quelli di Lube Industries s.r.l e Porro s.pa. Per sostenere la domanda del settore, FSC Italia nel 2022 è stata promotrice della quarta edizione del FSC Furniture Awards, che ha visto tra i 9 vincitori a livello europeo anche due aziende italiane: nella categoria indoor Stosa e nella categoria outdoor Euroform. Sempre nel 2022, si è aggiunta una nuova importante certificazione di progetto riferita alle camere dell’hotel Park Hyatt Milano recentemente ristrutturato con mobili e finiture in legno certificato FSC: un progetto portato avanti dalla veneta Uno S.p.a. Infine, per quanto riguarda il tessile, sono 13 nuovi certificati emessi, che vanno ad integrare ulteriormente le filiere italiane del fashion, dell’automotive e degli accessori, attraverso l’uso fibre tessili di origine naturale come rayon, viscosa e tencell certificate FSC.
Cresce l’uso promozionale del marchio FSC Aumentano anche le aziende che chiedono di usare il marchio FSC sui propri prodotti a fini promozionali: si tratta di aziende che utilizzano materiali di filiera certificata per il packaging, o che scelgono di investire in progetti di valorizzazione del patrimonio forestale certificato. A fine 2022 risultano 111 le aziende che hanno usufruito di questa licenza tramite la sottoscrizione di un cosiddetto Promotional License Agreement (PLA). Tra i settori maggiormente attivi si confermano l’agroalimentare con nuovi importanti partner come La Molisana e Sammontana; i retailer (fra i quali Alì Supermercati, Eurospin, Bennet); la cosmesi e il settore parafarmaceutico (Harbor, Pupa, L’Erbolario, I Provenzali, Biofficina Toscana, Bios Line, Bioclin) e nuovi licenziatari quali Manetti&Roberts per il brand OMIA e Spes Medica. L’interesse si è esteso anche al settore fashion con Diesel, Diadora, Luisa Via Roma e Arena tra i licenziatari, e a quello delle aziende interessate a sostenere aree forestali certificate FSC attraverso investimenti sui servizi ecosistemici: tra queste, Sgambaro, Levico Acque e Prodeco Pharma.
Due giornate interamente dedicate alla moda e al design circolari. Succede a Milano il 10 e l’11 febbraio con l’evento – gratuito e aperto a tutti – “Milano circolare – La Città che Riduce, Recupera e Ricicla” organizzato dal Comune di Milano negli spazi di BASE di via Bergognone. Esposizioni di prodotti e tecnologie, si alterneranno a testimonianze di esperti, presentazioni e laboratori pratici. L’obiettivo è quello di offrire l’opportunità di scoprire come il mondo del fashion e del design sta affrontando la sfida dell’economia circolare in città, e cosa sta accadendo nelle altre metropoli europee. Dalle 14.00 di venerdì 10 e fino alle 19.00 di sabato 11 febbraio, il programma propone 40 talk organizzati in 8 sessioni tematiche, 2 sessioni internazionali in lingua inglese con traduzione simultanea, 50 espositori e un’area dedicata ai laboratori interattivi su prenotazione. Le attività saranno gratuite e aperte a tutte e a tutti. Una parte del programma è stato costruito attraverso una open call rivolta a operatori e imprese milanesi: più di 80 realtà – tra startup, associazioni di quartiere, grandi marchi e piccole imprese, università, scuole e accademie operanti nel settore moda e design – hanno risposto all’invito dell’Amministrazione comunale. Durante l’evento, presenteranno progetti e strategie per dare nuova vita a scarti, materieprime inutilizzate e prodotti invenduti. Secondo quanto comunicato dagli organizzatori ci sarà spazio anche per le esperienze internazionali, con due momenti dedicati alle pratiche circolari messe in atto dalle municipalità e dalle organizzazioni private e del privato sociale in alcune città europee. In programma, interventi e testimonianze da Amsterdam, Londra, Glasgow, Ginevra, e la partecipazione della Ellen McArthur Foundation, la più autorevole organizzazione al mondo impegnata nella promozione dell’economia circolare. Milano Circolare, realizzata in collaborazione con NEMA – rete nuove manifatture nell’ambito del progetto Horizon 2020 Centrinno – è organizzato nell’ambito del Piano Aria Clima: la strategia del Comune di Milano per la riduzione dell’inquinamento atmosferico e la tutela della salute e dell’ambiente. L’evento punta a essere il punto di partenza per elaborare un Piano d’azione sull’economia circolare a Milano che aiuti i soggetti pubblici e privati a trasformare l’immenso giacimento di scarti e rifiuti urbani in una risorsa, con l’obiettivo di ridurre il consumo di materie prime ed energia, e creare nuove opportunità di lavoro e impresa.
È salpata la settimana scorsa dall’Hilton Molino Stucky di Venezia, che si staglia sul canale della Giudecca con la sua inconfondibile facciata in mattoncini rossi insieme all’imponente torre neogotica, la mostra fotografica di Marcello Bonfanti “Scandalosamente bello”, che racconta, attraverso le immagini, l’ideazione, la costruzione e le attività del Centro di chirurgia pediatrica di Emergency in Uganda, voluto da Gino Strada e progettato da Renzo Piano.
Renzo Piano illustra a Gino Strada il progetto del nuovo ospedale di Emergency in Uganda al Four Season Hotel Beverly Hills ®M.Bonfanti
Promotore della mostra, l’Hilton Molino Stucky sorge su quello che un tempo fu un mulino poi finemente ristrutturato e divenuto una delle strutture iconiche e più significative dell’architettura di recupero post-industriale. Crocevia di storie e bellezza, è sembrato il luogo più adatto da cui far partire il racconto di un ospedale costruito per essere, oltre che utile, anche “scandalosamente bello”. Il titolo della mostra deriva infatti dalla richiesta che Gino Strada fece a Renzo Piano, quando, parlandogli dell’idea di progettare l’ospedale di Emergency ad Entebbe, in Uganda, gli chiese che fosse “scandalosamente bello”, come di fatto è oggi: un’opera architettonica rispettosa dell’ambiente, immersa nella natura e perfettamente integrata nel paesaggio locale, costruito sulla sponda del Lago Vittoria, a 1.200 metri di altitudine e realizzato con materiali e tecniche sostenibili.
Scandalosamente bello – Molino Stucky Hilton, Venezia, Emergency ®M.Bonfanti
Dall’anno della sua apertura, nel 2021, a oggi, l’ospedale ha già operato più di 2mila bambini. Offre cure gratuite di eccellenza in chirurgia pediatrica e ha l’obiettivo di diventare un punto di riferimento per i bambini, non solo dell’Uganda, ma dell’intero continente africano. In un Paese in cui la metà della popolazione ha meno di 15 anni e il diritto alla salute non è garantito per tutti, che un ospedale, oltre che efficiente, sia anche “scandalosamente bello”, sembra un fatto del tutto secondario.
Scandalosamente bello – Molino Stucky Hilton, Venezia, Emergency ®M.Bonfanti
Invece, ha spiegato la presidente di Emergency Rossella Miccio nel corso della presentazione della mostra presso l’Hilton Molino Stucky, “la bellezza è parte della cura e può contribuire al miglioramento della salute dei pazienti. Questo ospedale è un atto di restituzione di uguaglianza. Per Emergency il diritto al bello è fondamentale e fa parte dello stesso progetto di cura. Quest’ospedale bellissimo simboleggia l’unione dell’eccellenza medica, dell’eccellenza estetica, nel rispetto del contesto dell’ambiente. Quando si arriva ad Entebbe, nel sito dell’ospedale, sembra davvero di essere in un mondo diverso, magico”. “L’obiettivo, ha aggiunto , è costruire qualcosa che resti e che rappresenti un messaggio di speranza, ma che significhi, al contempo, restituzione di dignità e di riconoscimento dell’uguaglianza, i pilastri fondamentali di una società più giusta in cui ci tutti possiamo riconoscerci”.
Scandalosamente bello – Molino Stucky Hilton, Venezia, Emergency ®M.Bonfanti
Di bellezza ha parlato anche Raul Pantaleo, architetto di TAMassociati, lo studio che ha sviluppato il progetto dell’ospedale insieme a Renzo Piano: “Credo che tutto il mondo dell’architettura sia debitore verso Gino Strada per aver riportato al centro il tema della bellezza come un bisogno e per aver sollevato la necessità di fare architettura soprattutto in quei luoghi. La bellezza è sempre stata al centro degli ospedali di Gino. Per noi occidentali la parola ‘bellezza’ è un parola faticosa, complessa. Su questo Gino aveva un approccio più lucido. La bellezza per lui è fatta di poche cose: un albero, la pulizia, un edificio che racconta l’amore per la condivisione del benessere. Ancora più degli altri centri di Emergency, l’ospedale in Uganda, grazie all’incrocio con Renzo Piano, dichiara la volontà di far entrare la bellezza come un diritto inalienabile delle le persone ad immaginare un futuro”. D’altronde, come disse una volta lo stesso Renzo Piano: “In tutte le lingue africane, lo shawii per primo, l’idea di bello è sempre accompagnata dall’idea di buono: non c’è bellezza senza bontà”.
Scandalosamente bello – Molino Stucky Hilton, Venezia, Emergency ®M.Bonfanti
Nei prossimi mesi la mostra “Scandalosamente bello” verrà replicata in altre strutture del gruppo Hilton, approdando a Milano dal 9 al 12 marzo, a Como dal 15 al 22 maggio, al Rome Cavalieri dal 24 al 30 luglio e in altre strutture ancora da definire.