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Allarme Ambrosetti: per la sanità pubblica spendiamo solo il 7,2% del Pil

L’Italia dedica soltanto il 7,2% del Pil alla sanità pubblica, meno di Germania e Francia, e nei prossimi anni spenderemo ancora meno, a fronte di esigenze che richiederebbero invece un aumento dell’investimento, considerato il rapido invecchiamento della popolazione e l’aumento delle malattie croniche degli anziani: nel 2050 avremmo bisogno di 220 miliardi, ovvero il 9,5% del Pil. Lo calcola lo studio “Meridiano Sanità – Le coordinate della salute” stilato da The European House-Ambrosetti. Basandosi sui dati demografici Istat, ovvero sul fatto che l’età media degli italiani dovrebbe passare dagli attuali 46,2 anni a 52,1 entro 28 anni, lo studio prevede una popolazione di over 65 a rappresentare quasi il 37% della popolazione, mentre attualmente non arriva al 24, e un’aspettativa di vita che sfiorerà i 90 anni. In altre parole, il bisogno di assistenza crescerà enormemente e gli anziani assorbiranno il 75% della spesa sanitaria contro l’attuale 60. Però, contemporaneamente, ci saranno meno giovani attivi a contribuire con le tasse: la cosiddetta popolazione attiva – quella tra i 15 e i 64 anni – scenderà di 8,8 punti percentuali, attestandosi al 54,8%. Ma prima di pensare al futuro, pensiamo al presente. La sanità italiana è già attualmente in profondissima crisi. Come rilevava di recente Luciano Fassari su Quotidiano Sanità, prendendo a riferimento gli Annuari del Ssn del Ministero della Salute, in totale il Ssn nel 2007 poteva contare su 259.476 posti letto complessivi, contro i 190mila del 2019, segnando un calo in tutti i comparti del -27% in 12 anni (a fronte di un aumento della popolazione). Se si confronta il dato con l’anno 2000 il calo è ancora più vistoso: nel 2000 c’erano ben 272mila posti letto di degenza ordinaria, oltre 80mila in più rispetto al 2019. Per quanto riguarda il personale, nel 2007 il Ssn poteva contare su 650mila unità: nel 2019 tale personale ammonta a circa 600mila unità. Questo significa più carico di lavoro sulle spalle di pochi, per un tipo di impiego già altamente stressante. Per questo medici, infermieri e personale sanitario scenderanno in piazza il 15 dicembre per contestare il Fondo sanitario di quest’anno, che ammonta a circa 124 miliardi. Gli operatori sono allo stremo, ed è esperienza comune di chi abbia la sfortuna di entrare in un ospedale notarlo, ma bisogna considerare che il 58,7% dei medici ha più di 50 anni e così il 47% degli infermieri. Entro il 2022 andranno in pensione 29.300 medici specialisti, oltre 11.800 medici di medicina generale e 21.050 infermieri (dati Agenas, Agenzia nazionale per i servizi sanitari regionali).

Nota particolarmente dolente, la salute mentale resta all’angolo. È una delle questioni affrontate nel dossier della onlus A Buon Diritto, che aggiorna le normative in tema di diritti nel 2022, notando in particolare come in Italia la spesa per la salute mentale continui ad attestarsi al di sotto del 3% del fondo sanitario nazionale. Questo nonostante l’impegno a “destinare almeno il 5% dei fondi sanitari regionali per le attività di promozione e tutela della salute mentale”, approvato dalla Conferenza dei presidenti delle Regioni nel 2001. E senza contare l’aumento esponenziale di malattie mentali che hanno fatto seguito alla pandemia di Covid. Puntando i riflettori sulle carceri, luogo dove la prevenzione e la cura delle malattie psicologiche e psichiatriche ha particolare importanza sia ai fini di reinserimento che di recupero sociale, è da notare che il 13% dei detenuti porta diagnosi psichica grave e una media del 40% soffre un qualche disturbo mentale. Ma gli istituti penitenziari del nostro Paese hanno una storica e cronica carenza di risorse in merito.

L’articolo Allarme Ambrosetti: per la sanità pubblica spendiamo solo il 7,2% del Pil proviene da The Map Report.

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