Rapporto Censis 2022: gli italiani del post-populismo, fra paure e malinconie

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Termometro significativo della situazione socio-economica del nostro Paese, il Rapporto Censis – giunto alla 56 esima edizione – fotografa un’Italia che sta attraversando un periodo particolarmente difficile.
Le Considerazioni generali che introducono il Rapporto descrivono una società che vive in una sorta di latenza di risposta, sospesa tra i segnali dei suoi sensori e la mancata elaborazione di uno schema di funzionamento. Nella seconda parte del Rapporto vengono quindi affrontati i temi di maggiore interesse emersi nel corso del 2022: il ciclo del post-populismo, l’ingresso in una nuova età dei rischi, il costo dei grandi eventi della storia, l’inceppamento dei meccanismi proiettivi e la malinconia sociale, il riposizionamento latente del sistema economico. Nella terza e quarta parte, invece, il Rapporto del Censis presenta le analisi suddivise per settori: la formazione, il lavoro e la rappresentanza, il welfare e la sanità, il territorio e le reti, i soggetti e i processi economici, i media e la comunicazione, la sicurezza e la cittadinanza.
Particolarmente significativo è il dato relativo ai timori e le aspettative legati all’aumento dei prezzi: il 92,7% degli italiani è convinto che la corsa dei prezzi durerà a lungo, il 76,4% che le entrate familiari nel prossimo anno non aumenteranno, mentre quasi il 70% pensa che il proprio tenore di vita peggiorerà. Diventano quindi “socialmente insopportabili” le disparità economiche: il gap tra i salari dei manager e quelli dei dipendenti (odioso per l’87,8% degli italiani), le buonuscite milionarie dei “top” (86,6%) ma anche gli eccessi, i jet privati e le auto lussuose. L’81,5% non tollera gli “immeritati guadagni” degli influencer, definiti come personaggi “senza competenze certe”.
Non si registrano, poi, “intense manifestazioni collettive come scioperi, manifestazioni e cortei”, una disaffezione nei confronti dell’impegno sociale e politico che spiega il dato record dell’astensione elettorale e la crescente tendenza al ripiegamento su se stessi e alla “passività” (54,1% degli italiani). In linea generale, 4 italiani su 5 “non hanno voglia di fare sacrifici per cambiare”: l’83,2% non vuole più sacrificarsi per seguire gli influencer (ancora loro), l’81,5% per vestire alla moda, il 70,5% per acquistare prodotti di prestigio e si attesta attorno al 60% la percentuale di chi non smania per sentirsi più giovane o attraente. Al 36,4%, inoltre, non interessa più sacrificarsi per far carriera o avere guadagni maggiori.
Diverse, poi, le paure nuove che si affacciano all’orizzonte: l’84,5% degli italiani pensa che anche eventi geograficamente lontani possano cambiare le loro vite, il 61% teme che possa scoppiare la Terza guerra mondiale, il 59% la bomba atomica e il 58% che l’Italia stessa entri in guerra. Risultano poi in preoccupante aumento, rispetto al 2012, le violenze sessuali (+12,5%) e le estorsioni (+55,2%), oltre ai reati informatici.
Nel Paese si registra anche una generale tendenza all’invecchiamento e all’impoverimento: nel 2021 le famiglie in povertà assoluta erano 1,9 milioni, pari al 7,5% del totale, aumentate di 1,1 punti rispetto al 2019, per un totale di quasi 5,6 milioni di individui. Gli over 65 sono il 23,8%, +60% rispetto a trent’anni fa, e tra vent’anni si calcola che saranno il 33,7%. Sul fronte scuola, le immatricolazioni all’Università sono date in netta contrazione tra il 2032 e il 2042. Deteniamo, infine, un triste primato europeo: i Neet italiani, ovvero i giovani che non studiano e non lavorano sono il 23,1% dei 15-29enni a fronte di una media europea del 13,1%. Al Sud l’incidenza sale al 32,2%.
“Nonostante lo stratificarsi di crisi e difficoltà – si legge nelle considerazioni generali del Rapporto – il nostro Paese non regredisce grazie allo sforzo individuale, ma non matura. Riceve e produce stimoli a lavorare, a mettersi sotto sforzo, a confrontarsi con le ferite della storia, ma non manifesta una sostanziale reazione: rinuncia alla pretesa di guardare in avanti (…) La società italiana aspetta di divenire adulta, si affida alle rendite di posizione e di ricchezza, senza corse in avanti affronta i grandi eventi delle crisi globali con la sola soggettiva resistenza quotidiana. Ma un prolungamento della fase latente della vita sociale comporta il rischio di una sorta di masochistica rinuncia, senza forza e ambizione, a ogni tensione a trasformare l’assetto sistemico e civile della nostra società. Una sorta di acchiocciolamento nell’egoismo, di avvolgimento a spirale su se stessa della struttura sociale che attesta tutti a traguardi brevi (…) Resta la realtà che l’Italia non cresce abbastanza o non cresce affatto; che la macchina amministrativa pubblica è andata fuori giri e così non sarà in grado di trainare la ripresa; che la ricerca è intrappolata nella morsa di una scarsa qualità delle strutture e della programmazione pubblica; che l’esercizio della giustizia presenta disparità territoriali intollerabili; che la cronica sottoassicurazione degli italiani è uno dei privilegi che non possiamo più permetterci; che la vivace e positiva dinamica manifatturiera è stretta da una endemica fragilità logistica; che il ritardo dei servizi avanzati ricade anche sull’economia dei servizi tradizionali (…) Giudicando il fiume non dal suo scorrere lungo l’argine, ma solo dalla foce, abbiamo assistito a un proliferare, spesso scomposto, di piani di ogni genere: per la resilienza, per la sicurezza informatica, per il clima e l’energia, per la mobilità elettrica, per l’idrogeno, per la non autosufficienza, per la sostenibilità sociale, solo per fare qualche esempio”.

L’articolo Rapporto Censis 2022: gli italiani del post-populismo, fra paure e malinconie proviene da The Map Report.

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