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Eco-ansia, per tenerla a bada aumentano i “funerali” dei ghiacciai

“Questa targa serve a riconoscere che sappiamo cosa sta succedendo e cosa deve essere fatto. Solo tu sai se ce l’abbiamo fatta”. Così recita la scritta su bronzo usata per il funerale di Okjökull, una piccola calotta glaciale nell’Islanda occidentale definita ufficialmente “morta” nel 2014 come conseguenza dei cambiamenti climatici e dell’innalzamento delle temperature globali. A porla a dimora un gruppo di 100 persone che hanno seguito l’invito di Cymene Howe, antropologo della Rice University, in Texas, assieme a colleghi ed esperti locali, nell’agosto 2019. Nel punto raggiunto dopo un’escursione impegnativa, volta a portare a raccoglimento gli interessati, in una cerimonia simile a un funerale, si sono letti ad alta voce brani significativi, si sono tenuti discorsi in memoria e infine si è rispettato un minuto di silenzio, mentre la targa veniva messa a dimora. “C’era un sentimento di solidarietà e una forma di responsabilizzazione. Non eravamo in lacrime, ma avevamo un forte sentimento di convinzione ed era una convinzione collettiva”, ha detto Howe al Guardian. “La sua morte, la sua perdita, la sua scomparsa… essere consumati dal cambiamento climatico non veniva finora mai realmente riconosciuto”, ha aggiunto Howe, specializzato nello studio del crollo climatico antropogenico. “Perché parte del problema è che non esisteva un modo strutturato per affrontare emotivamente quel processo di perdita”. Fino all’idea di questi funerali. Sappiamo che le questioni climatiche e ambientali sono fonte di forte ansia per molte persone, specialmente giovani, e si diffonde così la voglia di salutare i momenti più drammatici di questa fase, di fermarsi a riflettere anche in ottica positiva, oppure di accettare il senso di colpa che deriva dalla consapevolezza che la responsabilità è nostra, intesa come genere umano.

©iStock/Mlenny

Dopo la cerimonia per Okjökull, si sono svolti in tutto il mondo altri funerali, come quello per il ghiacciaio svizzero Pizol nel 2019, il ghiacciaio Clark in Oregon nel 2020, il ghiacciaio Ayoloco in Messico nel 2021 e il ghiacciaio Basodino in Svizzera nel 2021. La Svizzera è punto particolarmente fragile, e i suoi ghiacciai hanno registrato il peggior tasso di scioglimento da quando sono iniziate le registrazioni più di un secolo fa. Uno studio condotto da ricercatori locali ha evidenziato che la metà dei ghiacciai del Paese, a prescindere dal possibile intervento umano, potrebbe scomparire entro il 2050. Anche da noi Legambiente ha organizzato diversi funerali, ad esempio per i ghiacciai trentini. Dopo il ghiacciaio di Lys, sul Monte Rosa, del Montaso, in Piemonte, le “veglie funebri” di Legambiente sono arrivate sul ghiacciaio dello Stelvio, della Marmolada e del Brenta. Dunque non tanto ghiacciai morti, ma, agendo preventivamente, “l’obiettivo – spiega Legambiente – è di portare l’attenzione di cittadini, e non solo, sugli effetti dei cambiamenti climatici sul nostro pianeta” anche un po’ prima che sia troppo tardi, sempre però cercando modi per gestire l’ansia che questo genere di evento provoca nelle persone. E non a torto. Inondazioni (a seguito della crescita del livello degli oceani), scarsità di acqua potabile e aumento vorticoso dell’effetto serra sono solo alcuni degli effetti che potranno derivare dallo scioglimento dei ghiacciai e in Italia si sono già ridotti del 30% in 50 anni. Come noto, il loro ruolo è cruciale per la resa dell’agricoltura, del traffico fluviale e non da ultimo per la produzione di energia elettrica, mai tanto preziosa come oggi. 

L’articolo Eco-ansia, per tenerla a bada aumentano i “funerali” dei ghiacciai proviene da The Map Report.

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