Iran, ragazze contro la polizia: 57 morti in 10 giorni, 4 bambini

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Si sciolgono i capelli, bruciano i veli, danzano, e per questo muoiono. Siamo a 10 giorni di proteste e finora almeno 450 persone sono state arrestate solo a Mazandaran, una provincia settentrionale dell’Iran, almeno stando ai dati del procuratore capo della provincia. Le proteste che vedono protagoniste le giovanissime iraniane non hanno tregua: scatenate dopo la morte della 22enne Mahsa Amini, fermata perché non indossava correttamente il velo e improvvisamente deceduta mentre si trovava sotto la custodia della polizia. Scontri sono diffusi in tutto il Paese, che per reazione ha chiuso internet e messo in atto una violenta repressione che già conta 41 morti, ma gruppi per i diritti umani affermano che il numero reale potrebbe essere più alto. Il gruppo norvegese Iran Human Rights (IHR) ha dichiarato domenica sera che il bilancio delle vittime è di almeno 57 persone, ma l’instabilità di internet rende chiaramente difficile confermare il numero. Intanto il mondo trattiene il respiro di fronte al coraggio di queste giovanissime donne che – assieme a tanti amici e parenti maschi – sfilano per Teheran al grido “morte al dittatore”.

Tra i morti – secondo Amnesty International – almeno anche quattro bambine e bambini, uccisi dalle forze statali dall’inizio delle proteste. Testimoni hanno infatti descritto lo “schema straziante” del “lancio deliberato (e illegale) di proiettili veri contro i manifestanti”. Si protesta in tutto il Paese: da Teheran a Yazd, Isfahan e Bushehr. Una bambina di 10 anni è stata uccisa a colpi di arma da fuoco nella città settentrionale di Bukan. Deserte le lezioni universitarie in almeno tre atenei della capitale iraniana, dove gli studenti si rifiutano di frequentare. Amini – la ragazza probabilmente uccisa dalla polizia – era in visita a Teheran con la famiglia, quando è stata arrestata per strada per il modo in cui si era velata i capelli. “Durante il viaggio verso la stazione di polizia è stata torturata e insultata”, ha detto a Sky News il cugino Erfan Mortezaei. “Ha subito una commozione cerebrale da un colpo alla testa. C’è un rapporto dell’ospedale di Kasra, Teheran, che dice che quando ha raggiunto l’ospedale era già morta”. Nonostante i blocchi al web, Instagram e WhatsApp fanno circolare video che mostrano scene di morte e violenze durante le proteste. Uno di questi – divenuto virale ma già rimosso – mostra Hadis Najafi, 20 anni, morire per sei proiettili sparati dalle forze statali. La 22enne, nota in Italia come la ragazza con la coda, era uno dei simboli della protesta in atto. Tanta l’amarezza per la scarsa considerazione internazionale dei fatti: “La gente si aspetta che le Nazioni Unite difendano noi e i manifestanti”, ha detto il padre di un’altra vittima, la 21enne Milan Haghigi, “Io posso condannare le autorità iraniane, il mondo intero può condannarle, ma a che scopo?”. Non tutto tace però. “L’uso diffuso e sproporzionato della forza contro i manifestanti non violenti è ingiustificabile e inaccettabile”, ha detto Josep Borrell, a capo della politica estera dell’Unione Europea, condannando anche le restrizioni di internet come “violazione palese della libertà di espressione”. Che quanto sta avvenendo sia ben oltre l’ordinario lo dimostra anche il fatto che l’Iran tenti altri modi (oltre al blocco di internet) per placare lo scandalo: il Paese ha convocato gli ambasciatori britannico e norvegese per ciò che ha definito “interferenza e copertura mediatica ostile”, mentre il ministro degli Esteri, Hossein Amirabdollahian, ha anche criticato il sostegno degli Stati Uniti ai “rivoltosi”, riferendosi alle parole spese da Jake Sullivan, consigliere per la sicurezza nazionale degli Stati Uniti, di apprestarsi a compiere “passi tangibili” per sanzionare la polizia della moralità (ovvero la polizia che in Iran può fermare e arrestare le persone – in genere donne – per comportamenti non morali: come lasciar visibili i capelli sotto il velo). Le proteste all’estero si sono svolte in solidarietà con le donne iraniane ad Atene, Berlino, Bruxelles, Istanbul, Madrid, New York e Parigi.

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