Se ci fosse davvero un Ordine dei giornalisti ora sapremmo. Sapremmo se erano nel giusto i giornali (tanti) che hanno pubblicato il video degli ultimi istanti di vita dei passeggeri della funivia del Mottarone. O i pochi che non lo hanno fatto. Oppure quelli che lo hanno fatto prendendo contemporaneamente le distanze da quello che stavano facendo (chiaro esempio di chi non fa mai pace con se stesso). O quelli che hanno premesso il lacerante dibattito interno prima di pubblicarlo per assolversi. O infine quella testata che prima lo ha pubblicato e poi ha pubblicato la nota, durissima, della procura della Repubblica di Verbania che dice è stato illegale pubblicarlo, e peggio ancora, se possibile, immorale. Tipico esempio do commedia all’italiana.
Se ci fosse un Ordine dei giornalisti, davvero, potremmo capire dove si fermano i diritti e iniziano i doveri dei giornalisti in questa epoca complessa, digitale, velocissima, in cui un video agli atti di una inchiesta si rilancia al mondo intero con un clic e poi non lo fermi più e se fai di mestiere il giornalista ti senti come quelli che devono svuotare il mare con un cucchiaio. Inutile. Su Twitter, dove le sentenze sono immediate, affilate e spesso assomigliano a gogne, i giornalisti, come categoria, sono stati condannati senza attenuanti. Non credo interessi a nessuno sapere se io lo avrei pubblicato o no quel video (sono tutti fenomeni, da fuori). Ma credo sia importante fissare alcuni punti fermi, da cui non dovremmo derogare se non vogliamo finire anche noi, come comunità sociale, in una scarpata. Il primo è che no, questo video, non è come quello fatto con il telefonino dalla giovane Darnell Frazier mentre i poliziotti stavano ammazzando il povero George Floyd il 25 maggio 2020 a Minneapolis. Quello fu un atto di coraggio che è servito a provare quello che era accaduto; nel video delle telecamere di sorveglianza della funivia non c’è sicuramente nessun coraggio. Allora si può paragonare al video dell’attentato alle Torri Gemelle del 2001 o quello dell’omicidio di Kennedy del 1963, come ha fatto qualcuno? Non lo so, ma so che mentre si discute di questi temi, qualcosa potremmo fare, come cittadini. Non cliccare su certi video. Non cliccare anche se c’è scritto che certe immagini potrebbero urtare la nostra sensibilità. Non cliccare anche se quell’avviso è fatto apposta per mettere le mani avanti e intanto accendere il lato morboso della nostra curiosità.
Se alcuni fanno la scelta di pubblicare, noi possiamo ancora scegliere di non cliccare. Io non cliccavo sui video dove si vedevano i terroristi mozzare le teste di poveri ostaggi occidentali. Non clicco per assistere alla morte in diretta. Non clicco in genere sui troppi titoli che sui siti web cercano in tutti i modi di farmi cliccare su post luccicanti come le patacche vendute in certi mercati. Forse nell’era di Internet non possiamo impedire che qualcuno pubblichI quello che vuole. Ma possiamo non cliccare. Sempre meglio svuotare il mare con un cucchiaio che continuare a inquinarlo.