Se tutte le abitazioni hanno una storia, quella di Isabella Rossellini a Bellport, Long Island, è un romanzo di cinquecento pagine che parte da Roma per arrivare a New York, passando per la Svezia e la Russia, Guerra e pace e Fellini, e in cui dentro c’è un po’ di tutto: bambini, animali, natura e tanta vita. È soprattutto la storia di un’amicizia, quella tra l’attrice e l’architetto Pietro Cicognani, l’uomo che, esattamente come i registi con cui Isabella è abituata a lavorare, «è in grado di vedere cose che ancora non ci sono e tu puoi solo affidarti, andargli dietro, navigare nell’incertezza perché sai che tanto è già tutto nella sua mente e che ti porterà a un risultato addirittura migliore di quello a cui aspiravi tu». Nella prefazione al libro Pietro Cicognani: Architecture and Design di Karen Bruno con fotografie di Francesco Lagnese, che raccoglie i lavori di Cicognani (pubblicato da Vendome Press), Rossellini come prima cosa scrive che no, lei e Pietro non sono fidanzati e non sono neanche mai stati amanti: è una cosa che pensano tutti e a vederli insieme che si finiscono le frasi a vicenda e ridono di gusto non è che si può dare torto a chi l’ha pensato. Di cose in comune ne hanno, a partire da padri italiani sposati con donne straniere, l’infanzia a Roma, l’arrivo a New York, la cultura, l’amore per l’arte e per il cinema. Tutti elementi che in modo più o meno evidente sono confluiti in questo progetto. «Non ricordo quando io e Pietro ci siamo conosciuti», dice Isabella Rossellini.
«Ma ricordo quando mi sono rivolta a lui. Avevo comprato questo vecchio barn rosso che mi ricordava tanto le case svedesi, ma era in uno stato penoso. Siccome volevo usare materiali e personale del posto, ho assunto l’architetto del paese, americano, con cui però da subito ci sono stati problemi di comunicazione. Quando un giorno, senza neanche dirmelo, ha rimosso la vecchia mangiatoia che c’era dentro al fienile, ho capito che dovevo cercare qualcun altro». È quindi grazie a un’amica in comune che contatta Cicognani e subito capisce di parlare la sua stessa lingua. «Abbiamo radici e percorsi simili: entrambi siamo scappati all’estero da giovani. Io sono arrivata a New York perché mio padre Roberto a Roma non mi faceva andare alle feste», racconta ridendo. A differenza dell’architetto americano, poi, entrambi concordano nel mantenere il fienile quanto più possibile simile all’originale: invece di togliere, aggiungere strati e complessità, storia e dimensioni. «Sarà che noi siamo abituati a edifici che nei secoli hanno assunto funzioni diverse, chiese che sono diventate negozi e poi appartamenti, e poi chissà ancora che cosa. Per noi aggiungere storia è una cosa positiva. Pietro ha preservato gli strati di tempo con scelte brillanti. Ha salvato tutte le assi di legno del fienile e ciò che non poteva essere mantenuto è stato sostituito con legno nuovo che ha lasciato grezzo e intatto», continua Rossellini.

«Quando ho visto il fienile per la prima volta non c’era neanche il pavimento, era tutta terra», racconta Cicognani. «E la prima cosa che ho detto a Isabella è stata bocciare la sua idea di fare la piscina nel seminterrato: troppa umidità». Al suo posto ci sono invece una camera da letto, un bagno, una cucina minuscola con una piccola sala da pranzo rivestita con pareti in legno bianco di recupero. Sopra, lo spazio abitativo con due imponenti soppalchi superiori dove, in quello che un tempo era il luogo dove veniva conservato il fieno, Isabella Rossellini ha una biblioteca, la sua camera da letto e un bagno. Per la piscina Cicognani ha costruito un altro edificio. Insieme a quello per gli ospiti, con la cucina grande per le cene più impegnative, forma un trittico di edifici vicini, disposti in cerchio quasi che fossero affacciati su una piazza italiana. «Praticamente l’idea è che per mangiare devi uscire di casa», ride Cicognani. «Il terzo elemento che abbiamo aggiunto e che si è integrato benissimo è la piscina con la sauna e la stanza benessere. Questo spazio dentro è tutto grigio, monocromatico, completamente diverso dagli altri due. Se infatti da fuori c’è armonia, dentro poi le tre strutture sono completamente indipendenti. È l’opposto del concetto di mansion, dove integri tutto in un edificio. Qui invece è tutto separato, come se fosse un piccolo villaggio in cui ogni edificio ha una sua ragione d’essere». Isabella Rossellini continua: «Mi ricorda l’infanzia. Mamma in Svezia aveva una casa dove passavamo l’estate e nell’edificio principale c’era la cucina dove mangiavamo e una stanza da letto dove lei dormiva, mentre noi bambini dormivamo nelle casette vicine. Mi piace questa idea di dover passare da un ambiente all’altro».

Soluzioni insolite, ma che nascono dalla funzionalità, che non sono mai solo estetica e che ben si sposano con la sensibilità artistica della padrona di casa. Due esempi: la scala industriale, scelta proprio per la sua essenzialità («Di quelle che compri da Home Depot», dice), e poi l’idea di mettere delle reti da acrobata invece di una ringhiera intorno al soppalco per evitare cadute, materiale che Cicognani ha recuperato da un circo. «I bambini del quartiere bussano costantemente alla mia porta e chiedono: “Possiamo salire sul fienile e gettarci nelle reti?”. Le reti sono diventate leggendarie nel piccolo villaggio in cui vivo», racconta divertita Isabella. «La scala, le reti, l’arredamento: è tutto effimero. Mobili poi ce ne sono pochi e li cambio anche spesso». Vanno così d’accordo Pietro e Isabella che stanno già lavorando a un altro progetto: un bed and breakfast che aprirà in estate, adiacente alla fattoria dove lei alleva animali e produce miele. «Ho comprato questa casa così messa male che l’abbiamo soprannominata “La Zozzona”», racconta, ed è evidente cos’altro lei e Cicognani hanno in comune: non aver perso l’entusiasmo quasi infantile per i progetti nuovi, per il divertimento. A differenza del barn questo nuovo edificio è più recente, degli anni Cinquanta, o forse anch’esso antico ma rifatto «in modo orrendo» e quindi da ripensare completamente. «Pietro sta facendo la Zozzona deluxe», ride. «Stiamo costruendo una cucina enorme per ospitare degli eventi: potrà contenere fino a 60 persone. Sarà un luogo di incontro, di natura e di arte».
Ritrova l’articolo di Simona Siri con le fotografie di Francesco Lagnese a pagina 94 di AD di gennaio.
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