Signal, l’app per chat che sfida WhatsApp: privacy e trasparenza al primo posto

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“Usate Signal”. L’endorsement arriva da Elon Musk, il re indiscusso dei tecnoguru su Twitter. E in tempi in cui WhatsApp obbliga i suoi utenti a cedere i propri dati a Facebook, e in cui questi utenti hanno capito il valore che hanno, è un invito che viene accolto facilmente. Sono milioni infatti le persone che stanno migrando da WhatsApp (che è controllata da Facebook) ad app alternative, su tutte Telegram e Signal. Telegram è una chat evoluta, sviluppata in Russia e ormai consolidata alternativa a WhatsApp. Signal è arrivata nel 2014, è americana e proprio da Musk ha ricevuto (e riceverà) finanziamenti, oltre allo spin sui social.

Signal to noise. Ma quella di Musk non è l’unica “push” che Signal ha ricevuto. Le più autorevoli, dal punto di vista della sicurezza, arrivano da Edward Snowden e dalla scelta della Comunità europea, che lo usa per le comunicazioni interne (senza però nominarlo apertamente). Questo perché la caratteristica più rilevante di Signal è quella di non trattenere in alcun modo i dati personali degli utenti e cripta ogni chat con chiavi libere, trasparenti e verificabili. E anche passibili di modifica e miglioramento da parte degli utenti stessi. Signal ricorda un po’ alcune applicazioni dei primi anni 2000 che puntavano tutto sull’essere “open” come caratteristica principale, si potrebbe definire il Duckduckgo! delle chat, ha lo stesso spirito del motore di ricerca che si pone come alternativa a Google, improntato sui diritti dell’utente come linea guida assolute. Eliminando insomma il “rumore di fondo” di altri dati che non siano le conversazioni, comunque criptate end-to-end. In una parola, sicure.

Da Whatsapp a Signal. Chi decide di fare il salto, deve sapere che a fronte di una evidente chiarezza sul non uso dei dati personali, a Signal mancano un po’ di funzionalità di WhatsApp, quelle un po’ alla “buongiornissimo kaffè”: niente stories quindi, solo un’esperienza di comunicazione pura. Si può naturalmente arricchire le conversazioni con tutto ciò che è multimediale, foto, audio, video, vocali, così come è infinitamente più semplice l’utilizzo su desktop e su tablet (proprio come per Telegram), funzionalità su cui WhatsApp rimane incredibilmente (e piuttosto inspiegabilmente) ostico. Passare le chat di gruppo da WhatsApp a Signal è una semplice questione di incollare un link in una conversazione per trasferire gli utenti, armi e bagagli, sulla nuova app. Una migrazione piuttosto semplice e rapida, a patto che gli utenti interessati abbiano tutti un account Signal, che comunque si crea in pochi istanti. Una volta attivata l’utenza, si entra e si usa l’app esattamente come ogni altra app di chat. Con la sicurezza che gli sviluppatori non raccoglieranno altri dati che non siano il numero di telefono associato all’utente e non altri elementi (seriale del device, sistema operativo, contatti, email eccetera) che invece WhatsApp memorizza e – non in Italia dove vige il GDPR – ora trasferisce a Facebook.

Signal-sì e Signal-no. Signal è un’ottima alternativa alle varie chat disponibili e l’unica che fa della trasparenza totale la sua bandiera, ma WhatsApp resta un’app di eccellente livello, nonostante la sua fame di dati. Non c’è nulla di male o di pericoloso nell’usare WhatsApp anche se, come altre piattaforme del resto, raccoglie tutte le informazioni che può e ne dispone secondo i suoi termini di servizio, ma che in ogni caso ha la questione sicurezza sotto costante osservazione degli sviluppatori. Così come scegliere di passare a Signal non comporta rinunce incolmabili rispetto ad altre piattaforme, ma sicuramente l’esperienza è più essenziale – e per tanti potrebbe essere un plus. Qualsiasi scelta si faccia, resta fondamentale in ogni caso che ogni utente abbia la consapevolezza dell’importanza dei propri dati e dell’uso che ne viene fatto, per poterne poi disporre nel modo che ritiene più opportuno.

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