Un’astronave extraterrestre potrebbe essere in grado di utilizzare questo meccanismo e muoversi a velocità vicine a quelle della luce. Lo studio di un astronomo della Columbia University
di MATTEO MARINI
L bello della Fisica è che, sulla carta, si possono fare un sacco di cose strabilianti. Come viaggiare da un angolo all’altro dell’Universo attraverso un wormhole e rallentare il tempo sull’orlo di un buco nero. Oppure, come ha immaginato un professore di Astronomia della Columbia University, sfruttare proprio un buco nero per prendere (tanta) velocità e sprintare tra le stelle. Nell’epoca in cui siamo diventati una civiltà interplanetaria, con sonde su altri pianeti dove, in un futuro prossimo, arriveranno anche i primi pionieri, cerchiamo soluzioni per i viaggi interstellari. Così David Kipping, astronomo della Columbia University, si è divertito a immaginare un “motore” che usa buchi neri per spingere un’astronave fino a velocità “relativistiche”, cioè vicine a quella della luce.
Nel suo paper, pubblicato online su arxive, ha applicato le conoscenze che abbiamo dei buchi neri per arrivare a questa conclusione: l’astronave di una ipotetica civiltà extraterrestre, con una tecnologia di certo molto superiore alla nostra, potrebbe usare una coppia di buchi neri come uno specchio. Sparando un raggio laser che, come un boomerang, torna indietro potenziato grazie all’immensa attrazione gravitazionale, per spingere la navetta a velocità impensabili per noi oggi: “Sulla carta funziona – spiega Elisa Nichelli, astrofisica dell’Inaf e autrice del libro Buchi neri. Viaggio dove il tempo finisce, pubblicato da “Cento autori” – lo studio traduce su un raggio di luce l’effetto fionda usato dalle sonde spaziali e avrebbe il vantaggio di risparmiare un sacco di carburante”.
Il meccanismo è quello dello “sligshot”, la fionda, usato per raggiungere obiettivi lontani nel Sistema solare. Una sonda lanciata nello spazio passa vicino a un corpo massiccio (un pianeta come Venere per esempio) e sfruttando l’attrazione gravitazionale acquisisce “momento” e velocità. In questo caso, secondo Kipping, non sarebbe un ipotetico “Millennium Falcon” a fare tutto il lavoro ma un fascio di luce sparato dalla nave stessa o da un pianeta. Più volte: “Un raggio laser fa la stessa cosa ma non può acquistare velocità, perché non può andare più veloce della luce – continua Nichelli – però acquista energia, che la nave può immagazzinare e usare per accelerare. Lo studio prende in considerazione una coppia di buchi neri perché orbitano uno attorno all’altro ed è necessario che il buco nero venga verso di noi per sfruttare il meccanismo di fionda. E poi perché l’effetto del campo gravitazionale è molto amplificato. Inoltre raramente i buchi neri sono isolati, più spesso li troviamo in coppia con un’altra stella o con un altro buco nero”.
Gli “autogrill” dello spazio
Certo, la prima condizione da soddisfare è quella di avere una coppia di buchi neri a disposizione da usare per fare tutto questo. Noi non ce l’abbiamo: “Se volessimo viaggiare usando questo sistema – precisa l’astrofisica – avremmo bisogno di una mappa di binarie di buchi neri e viaggiare da uno all’altro. Come se fossero delle stazioni di servizio per il carburante. Ma non è come le nostre autostrade, nella galassia non ne troviamo uno ogni 20 o 30 chilometri”. Il buco nero più vicino alla Terra dista circa 3000 anni luce ed è associato a una stella. Che è anche, per ora, la condizione principale per individuarli: “È più facile notarlo perché è la stella stessa che, con il suo comportamento, ce lo fa capire – sottolinea Nichelli – oppure osserviamo i raggi X prodotti dal buco nero mentre inghiotte materia dalla stella. Ma potrebbero esserci coppie di buchi neri che ancora non abbiamo trovato, perché, come sappiamo, quando si fondono emettono onde gravitazionali ma non luce, nulla di osservabile nello spettro elettromagnetico”.
Sogni astronomici
Nulla vieta di ipotizzare, come fa Kipping nel suo studio, che una civiltà extraterrestre possa già usare una tecnologia di questo tipo. Per l’uomo, tuttavia, è ancora un obiettivo quasi da fantascienza. Per diversi motivi, secondo Nichelli: “Lo studio non specifica quante volte bisogna ripetere questo gioco del boomerang col raggio laser. Inoltre secondo i calcoli sarebbe efficace solo da una distanza da due a 20 volte il raggio di Schwarzschild (che è un po’ il confine del buco nero). Parliamo di poche decine di chilometri, piuttosto pericoloso”. E poi c’è la questione tecnologica: “Un conto è provare a inviare mini sonde verso la stella più vicina a velocità che si approssimano a quella della luce. E vedere cosa succede. Un altro è progettare un’astronave abbastanza leggera e resistente all’inerzia di velocità relativistiche”.
Nel 2016 Stephen Hawking aveva presentato il progetto Breakthrough starshot, per spedire microsonde attorno a Proxima Centauri usando potenti raggi laser e vele per arrivare a velocità pari a un quinto di quella della luce. Per fare passi avanti, insomma, bisogna imparare a sognare: “Anche solo il fatto che se ne parli è affascinante – conclude Elisa Nichelli – quello che abbiamo capito negli ultimi decenni di esplorazione spaziale umana è che bisogna saper osare. E per farlo bisogna immaginare qualcosa di nuovo per affrontare scenari così ambiziosi. Adesso ce ne andiamo in giro per il Sistema solare, abbiamo le tecnologie per arrivare su Marte ma se vogliamo davvero viaggiare da una stella all’altra dobbiamo azzardare. Là fuori c’è molto di più”