L’uomo invia 600 lettere a chi vive nella zona dove è stato ucciso Stefano Leo di CRISTINA PALAZZO
Seicento lettere imbucate nelle cassette postali dei palazzi sul Lungo Po Machiavelli, dove è stato ucciso Stefano Leo con una coltellata alla gola, pregando “con tutto il cuore che uno di voi, che vivete proprio qui, abbia un sussulto, un ricordo, un’associazione di idee, una sensazione di anomalia e sia in grado di indicare un giorno sospetto, un momento specifico su cui indagare, facendo una semplice segnalazione al 112″.
A tre settimane esatte dal delitto, avvenuto in piena mattinata il 23 febbraio, Alberto Ferraris, compagno della madre del 33enne originario di Biella che viveva e lavorava a Torino, ha scelto di provare un’altra strada per sperare in una svolta, ha scritto un messaggio e con l’aiuto di quattro amici di Stefano lo ha imbucato. “Spero tanto di non importunarvi ma ho veramente bisogno della vostra attenzione”, si legge.
“Gli inquirenti sono arrivati alla conclusione che indipendentemente dal movente che è tuttora oscuro (non escludono addirittura che ci sia stato uno scambio di persona), l’assassino si sia comportato in modo calcolato, probabilmente meditato. Se si è comportato in modo calcolato, premeditato deve aver fatto necessariamente uno o più sopralluoghi del posto”. Per questo, l’appello è soprattutto a chi in fasce orarie simili e nelle settimane precedenti possa aver visto qualcosa. “Credo che in questo momento delle indagini sia importantissimo dare qualche indicazione riguardo a comportamenti sospetti di qualcuno nelle due settimane prima del 23 febbraio. Sarebbe importante concentrare le analisi in certi momenti precisi”.
Alberto Ferraris, quindi, si affida all’empatia dei vicini di Stefano, sperando che qualche segnalazione arrivi. “Io sento che sarà così, che la svolta delle indagini arriverà da una persona che con quelle energie formidabili che sono dentro a ognuno di noi, nella nostra capacità di ricordare, osservare, di essere solidali, darà l’imbeccata decisiva per fare imboccare alle indagini la strada giusta”.
fonte:repubblica.it