
La Corea del Sud ha vinto 2-0 una partita che la Germania avrebbe perso comunque, anche pareggiandola, visto che il successo della Svezia sul Messico la obbligava a battere gli asiatici. I tedeschi sono stati qualificati fino al 5′ st, cioè fino al primo gol svedese di Ekaterinburg, un evento che li ha mandati in tilt, anche se prima non è che fossero sembrati così lucidi. Eppure sarebbe bastata una vittoria minima, su misura, contro una squadra non forte e già eliminata. Va bene che la Corea ha dato l’anima e ha festeggiato con trasporto un successo epocale, per quanto inutile, ma la Germania ha dato l’idea di essere una squadra vuota, sfinita, finita.
Ha attaccato tutto il tempo, ha raggiunto il 70% di possesso palla eppure le occasioni da gol si contano sulle dita di una mano sola: un destro di Reus rimpallato e una mischia con ultimo tocco di Hummels nel primo tempo, poi una bella parata (l’unica veramente difficile) di Jo su un colpo di testa di Goretzka proprio all’inizio della ripresa e poi più niente, se non un altro paio di colpi di testa di Gomez (centrale) e di Hummels (sbagliatissimo) mentre la Corea produceva un contropiede dopo l’altro, sprecandoli però tutti perché Son non può giocare da solo, e quelli attorno non sono alla sua altezza. I coreani hanno avuto il merito di non cedere, di lottare soltanto per la gloria e alla fine l’hanno ottenuta, trovando il gol del recupero con lo stopper Kim Younggwon, convalidato dall’arbitro perché solo grazie al Var s’accorto che l’ultimo tocco, quello che ha rimesso in gioco il coreano nell’area piccola, era stato di Kroos.
E nel sesto minuto di recupero c’è stato ancora il tempo per il raddoppio incredibile di Son, lanciato in una metà campo completamente deserta da Ju, che aveva rubato palla nientemeno che a Neuer, spintosi disperatamente in avanti. Quel gol dice tutto, della Germania: Neuer non era in area ad aspettare il cross della staffa ma ai limiti a ricevere sui piedi un falle laterale, mentre alle sue spalle c’erano tre compagni che si stavano disinteressando dell’azione. È stata l’immagine definitiva di una squadra smarrita, crollata all’improvviso sotto il peso della sua stessa usura. Löw non ha avuto il coraggio di dare una svolta secca alle cose, stavolta ha silurato Müller ma non Khedira, ha lanciato Goretzka ma non Brandt, ha lasciato che la squadra andasse alla deriva. Una volta della vita capita anche ai tedeschi.